Tristezza o depressione?

Negli anni Novanta, l’Organizzazione Mondiale della Sanità predisse che entro il 2020 la Depressione sarebbe diventata la seconda causa di disabilità nel panorama delle malattie fisiche e psicologiche, seconda solo all’infarto: oggi possiamo dire che questa previsione era praticamente corretta! Infatti, a livello mondiale si stima che ne soffrano circa 350 milioni di persone… per darvi un’idea della numerosità, circa cinque volte la popolazione dell’Italia o quella intera degli Stati Uniti d’America! In Italia, circa il 4% della popolazione soffre di disturbi dell’umore.

Ma quali sono le ragioni di quest’aumento dei disturbi depressivi nella nostra epoca? Non è facile rispondere a questa domanda perché bisogna chiamare in causa numerosi fattori, tutti mali tipici della società contemporanea: l’obesità, l’alimentazione squilibrata, la sedentarietà, l’eccessiva competizione, l’ineguaglianza ed il senso di solitudine.

La Depressione colpisce maggiormente la fascia di età compresa tra i 30 e i 49 anni ed è circa due volte più frequente tra le donne. Nel corso degli ultimi anni si è abbassata l’età in cui si manifestano per la prima volta sintomi depressivi e la loro incidenza aumenta bruscamente durante l’adolescenza. In particolare, una percentuale compresa tra il 20 ed il 30% degli adolescenti ha avuto un disturbo depressivo maggiore.

Le conseguenze di una Depressione non trattata sono spesso piuttosto serie e possono prevedere uno scarso rendimento a scuola e/o a lavoro, perdita di amici e del supporto familiare, abuso di sostanze e un elevato rischio suicidario.

Tristi o depressi?

Le persone usano la parola “depressione” in molti modi differenti. A tutti noi è capitato qualche volta di sentirci abbattuti o tristi. Ma è importante saper riconoscere quando la depressione si sta trasformando in un problema, così come è fondamentale conoscere la differenza tra Depressione e tristezza.

La tristezza è un’emozione che proviamo in risposta ad un evento di vita stressante, come nel caso di separazioni, perdite economiche o di persone a noi care. Sentirsi tristi è spiacevole, ma spesso questa sensazione ha una durata limitata nel tempo e tende a scomparire da sola. Una forma di depressione “lieve” e di breve durata può essere considerata addirittura, per certi versi, utile alla persona: questi momenti di “rallentamento” ci permettono, infatti, di risparmiare energie che altrimenti sprecheremmo nel tentativo di raggiungere obiettivi impossibili.

La Depressione diventa invece una malattia quando l’emozione della tristezza dura per un periodo più lungo del normale e sembra gettare un’ombra oscura sopra tutta la vita quotidiana della persona impedendole di gioire della maggior parte delle cose che le accadono e di prendere parte a quelle attività che prima considerava divertenti e facili da svolgere. Questa marcata diminuzione di energia, piacere e interesse verso l’ambiente circostante è spesso associata a significative variazioni di peso, alterazione del sonno, ridotta capacità di concentrarsi, sentimenti di colpa e autosvalutazione.

Il depresso, fondamentalmente, è intrappolato dentro una prigione delimitata da tre file di sbarre:

  • nutre aspettative negative per il futuro: la persona depressa si sente impotente e giunge alla convinzione che questa situazione negativa non potrà subire modifiche e continuerà così per sempre;
  • ha un’opinione negativa di : le persone depresse si vedono come colpevolmente deboli e inutili;
  • visione negativa del mondo: il depresso si sente socialmente sconfitto e non si ritiene meritevole e all’altezza di ricevere e/o dare aiuto.

 

Il pendolo dell’umore: il Disturbo Bipolare

Tutti noi abbiamo alti e bassi e il nostro umore è costantemente soggetto a normali variazioni. Queste oscillazioni sono però da considerarsi patologiche quando episodi depressivi si alternano a episodi cosiddetti “maniacali”, che sono un vero e proprio rovescio della medaglia della depressione. Essi sono caratterizzati da:

  • estrema euforia
  • senso di grandiosità
  • agitazione
  • irritabilità
  • diminuito bisogno di sonno
  • maggiore loquacità rispetto al solito
  • incremento dell’energia

Questa tipologia di disturbi riguardano circa l’1-2% della popolazione mondiale. I rischi connessi ad un episodio maniacale riguardano i possibili scoppi di irritabilità che possono sfociare in comportamenti violenti, soprattutto quando gli altri si rifiutano di assecondare le volontà della persona che si trova in una condizione di “mania”. Inoltre, durante un episodio di tipo maniacale, le persone sono maggiormente distraibili, agitate e sono eccessivamente coinvolte in attività potenzialmente molto dannose per se stesse (es. acquisti incontrollati, comportamenti sessuali a rischio, investimenti finanziari avventati, ecc.).

Per approfondire:

  • American Psychiatric Association (APA) (2013). DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 2014.
  • Hooley, J. M., et al. (2017). Psicopatologia e psicologia clinica. Pearson.

 

Laureato in Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia, è Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione e Professore a Contratto presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzato presso la Scuola di Psicoterapia ad orientamento Cognitivo-Costruttivista Relazionale – Centro di Terapia Cognitiva di Como, è iscritto all’Albo degli Psicologi della Lombardia (n. 16842).

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Stefano Ardenghi

Laureato in Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia, è Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione e Professore a Contratto presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzato presso la Scuola di Psicoterapia ad orientamento Cognitivo-Costruttivista Relazionale – Centro di Terapia Cognitiva di Como, è iscritto all’Albo degli Psicologi della Lombardia (n. 16842).

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