La ricchezza della diversità: la Teoria Cognitivo-Costruttivista

La Teoria Cognitivo-Costruttivista sostiene che ognuno di noi dà un significato assolutamente personale agli eventi della sua vita.

Cosa vuole dire in pratica questa affermazione? Guardiamo insieme questo episodio di vita quotidiana che, con tutta probabilità e con le debite differenze, potrebbe essere capitato a qualcuno di voi…

Laura e Marco sono due giovani fidanzati che una sera decidono di andare al cinema. Marco arriva come al solito in orario sotto casa della sua bella, la quale, però, questa volta non è ancora scesa. D’altronde, come poteva esserlo? Da diversi minuti era alle prese con la serratura difettosa della porta di casa che non le permetteva di girare la chiave! Nell’attesa, Marco si arrabbia e si rattrista per questo ritardo perché lo vive come l’ennesima conferma del fatto che dagli altri riceve sempre meno rispetto di quanto ne dia lui: alle persone i suoi bisogni non interessano. Ma Laura rispetta ed è interessata al benessere di Marco. Le interessa perché sente di aver instaurato con lui una relazione così solida e sicura da potersi permettere serenamente, in caso di imprevisto, di arrivare in ritardo ad un appuntamento. Quando finalmente Laura riesce a chiudere la porta di casa, scende di corsa le scale, entra nella macchina di Marco e lo saluta con entusiasmo desiderosa di condividere con lui il resoconto della sua giornata e delle recenti disavventure con la porta di casa. Marco, in tutta risposta, le rivolge a stento il saluto. Sorpresa e amareggiata da questa sua accoglienza, gli chiede se vada tutto bene e, ricevendo una risposta sbrigativa, si chiude in un cupo silenzio per tutta la durata del viaggio fino al multisala. Durante il tragitto controlla ripetutamente l’orario sul suo orologio: lei sta contando i minuti che li separano dall’inizio del film perché si sentirebbe troppo in colpa se arrivassero a spettacolo già iniziato a causa del suo ritardo, mentre Marco, che sta assistendo alla scena, crede che Laura non veda già l’ora di tornare a casa. I nostri due giovani raggiungono finalmente il cinema. Guardiamo ora cosa succede davanti al grande schermo. Davanti alla scena finale del film “Titanic”, in cui Jack si sacrifica per salvare Rose, Laura si commuove mentre Marco si arrabbia. Il gesto di amore incondizionato di Jack ha riscaldato il cuore di Laura e questa vampata, partita dal petto, le arriva dritta agli occhi, sciogliendoglieli in fiumi di lacrime. Lo stesso effetto glielo procuravano le premurose rinunce che il suo defunto padre faceva per la madre, per lei e per i suoi fratelli. Marco, invece, davanti alla stessa scena, si paralizza sulla poltrona del cinema, i suoi pugni si contraggono e sul suo volto compare una smorfia di disapprovazione: aveva assunto la stessa espressione all’età di 10 anni quando quell’”egoista” di sua madre aveva lasciato soli e “alla deriva” lui e il suo povero padre.

Qual è la morale di questo racconto? Quando qualcuno giudica o prova qualcosa ci sta fornendo informazioni essenziali sulle proprie caratteristiche e sulla propria storia piuttosto che informazioni “oggettive” sulla realtà esterna che sta osservando in quel momento.

Cosa avremmo fatto se questa coppia o uno dei due ragazzi ci avesse portato in seduta questo episodio di sofferenza relazionale? Lo avremmo esplorato senza giudizio, riguardato al rallentatore, in moviola, fotogramma per fotogramma, per diventare consapevoli di quella sequenza di comportamenti, pensieri ed emozioni che hanno caratterizzato la vicenda per i due ragazzi.

Secondo questo approccio, quindi, il nostro lavoro psicoterapeutico consiste in un percorso esplorativo all’interno del quale paziente e terapeuta ricoprono ruoli differenti e complementari: tu sei l’esperto dell’oggetto della ricerca (le tue sensazioni, i tuoi pensieri, le tue emozioni, ecc.), d’altronde sei l’unico ad avere la possibilità di entrarci in diretto contatto! Noi, invece, siamo gli esperti del metodo con cui far emergere questi tuoi vissuti.

L’obiettivo della terapia coincide, quindi, con il raggiungimento di una maggiore consapevolezza delle “lenti” attraverso cui guardiamo la nostra quotidianità. Questo traguardo sarà possibile capendo come le abbiamo costruite nel corso della nostra storia personale, di come esse guidano il nostro comportamento attuale e, in ultima analisi, di come possono cambiare angolazione per generare nuovi e più ampi significati.

Letture consigliate:

  • Guidano, V. F., & Liotti, G. (1983). Cognitive processes and emotional disorders. New York: Guilford.
  • Guidano, V. F. (1987). Complexity of the Self. New York: Guilford (Trad. It.: “La complessità del Sé”, Bollati Boringhieri, Torino, 1988).
  • Guidano, V. F. (1991). The Self in process. New York: Guilford (Trad. It.: “Il Sé nel suo divenire”, Bollati Boringhieri, Torino, 1992).
  • Nardi, B. (2007). Costruirsi. Sviluppo e adattamento del Sé nella normalità e nella patologia. Milano: Franco Angeli.
  • Reda, M. A. (1986). Sistemi cognitivi complessi e psicoterapia. Roma: La Nuova Italia Scientifica.

Laureato in Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia, è Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione e Professore a Contratto presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzato presso la Scuola di Psicoterapia ad orientamento Cognitivo-Costruttivista Relazionale – Centro di Terapia Cognitiva di Como, è iscritto all’Albo degli Psicologi della Lombardia (n. 16842).

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Stefano Ardenghi

Laureato in Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia, è Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione e Professore a Contratto presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzato presso la Scuola di Psicoterapia ad orientamento Cognitivo-Costruttivista Relazionale – Centro di Terapia Cognitiva di Como, è iscritto all’Albo degli Psicologi della Lombardia (n. 16842).

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