Fratelli in eredità

L’ anziano padre esalò l’ultimo respiro lasciando al mondo i suoi tre figli e diciassette cammelli.

Le sue ultime volontà, lette alla presenza di testimoni ed affetti, furono di destinare metà dei cammelli al primo figlio, un terzo al secondo figlio ed un nono al terzo.

Benché i fratelli fossero tra loro cresciuti in modo pacifico e fossero poco avvezzi all’avidità, nel tentativo di rispettare il volere così chiaramente espresso dal genitore si trovarono a fare i conti con un annoso problema: diciassette non era divisibile né per due, né per tre e nemmeno per nove.

Discussero, ragionarono su come fare. Qualcuno pensò di rinunciare ad una parte, altri proposero di modificare la spartizione, ma ciò non rispettava le ultime sacre volontà.

Le discussioni divennero via via liti legate a vecchie recriminazioni. Si tirarono fuori antiche questioni irrisolte. Qualcuno si ritirò nel silenzio, qualcuno alzò la voce, altri lasciarono insinuarsi nella discussione le proprie mogli, che, armate di maggior distacco affettivo dalla fratria, si sentirono di difendere con forza gli interessi del proprio nucleo familiare e dei loro figli, cercando di ottenere il più possibile a discapito degli altri.

Non c’era verso di uscirne e sempre di più le posizioni prese dagli uni e dagli altri diventavano faccenda personale.

La questione diventava una parte di affermazione di sé. I litiganti diventavano le proprie posizioni. L’attacco ad una posizione era un attacco alla propria persona.

Energie e tempo erano state spese in abbondanza e da un dono lasciato amorevolmente dal questo padre si era ormai generata una montagna di piccole e grandi lagnanze che pareva insormontabile.

Esausti, non riuscendo a risolvere la disputa, in un momento di lucidità i fratelli chiesero aiuto ad una anziana saggia del loro paese.

La vecchina li accolse nella propria casa e di fronte a tè caldo e biscottini al miele ascoltò con attenzione la storia.

Chiese con chiarezza la definizione del problema e lo ripulì dalle acredini montate sino ad allora.

Prese un po’ di tempo per riflettere e li richiamò.

Al loro arrivo la trovarono seduta fuori dall’uscio con accanto accucciato uno dei suoi cammelli. Disse loro di prenderlo e che questo suo dono avrebbe risolto il tutto.

Un po’ spiazzati dalla generosità della vecchina i tre tornarono con il cammello aggiuntivo alla casa paterna.

Avendo ora diciotto cammelli si poté procedere alla spartizione: il figlio maggiore ne prese nove, la metà. Il secondo figlio ne prese sei, ossia un terzo. Il terzo figlio ricevette due cammelli, ossia un nono.

Calcolando che nove più sei più due fa esattamente diciassette, i tre fratelli poterono restituire il diciottesimo cammello all’anziana saggia.

Questa storia, raccontata da William Ury[1], direttore del Global Negotiation Project presso l’Università di Harvard, riporta in modo molto chiaro un esempio di risoluzione negoziale con un mediatore.

La grande difficoltà di chi partecipa ad una negoziazione è riuscire a non entrare in una guerra di posizioni. Quando ciò accade le persone faticano a ritornare sul problema oggetto dell’incontro e spesso si perdono nel tentativo di affermarsi o difendersi rispetto all’altro.

Quando la sensazione che emerge dal confronto è quella di “perdere” o “vincere” vuol dire che si sta proprio assumendo un atteggiamento che non aiuterà a trovare una soluzione ottimale o migliore per sé e per la controparte.

In questi casi una delle possibilità è certamente ricorrere ad un osservatore esterno neutrale che può focalizzarsi sui reali interessi sottostanti le posizioni e trovare soluzioni, anche uscendo da schemi predefiniti.

Naturalmente questo stesso lavoro lo si può fare anche senza un terzo attore che medi, ma diventando voi stessi, e la controparte, mediatori.

Provate nei casi di contrattazione a focalizzare la vostra attenzione sugli interessi sottostanti le posizioni assunte. Fatevi domande del tipo: “Come posso aiutare l’altro ad aiutarmi?”, “Quali soluzioni alternative non abbiamo ancora considerato?”, “Quali sono gli interessi che spingono l’altro a chiedere di ottenere ciò che mi chiede?”

Accordarsi con altre persone non è facile, ma quando si riesce a raggiungere una soluzione che porti soddisfazione collaborativa ad entrambe le parti si fa anche un salto relazionale notevole, che consolida e rafforza la fiducia reciproca.

Queste relazioni, sia nel business che nel privato, sono preziose e anche se costano la fatica di mettere da parte il proprio ego e di sforzarsi di ragionare in modo più ampio possibile, generano impagabile soddisfazione e serenità.

[1] https://www.youtube.com/watch?v=6lzIqdf7-3Q

Laureata in Psicologia Clinica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Specializzata presso la Scuola di Psicoterapia ad Orientamento Sistemico e Socio-Costruzionista di Milano – Centro Panta Rei, è iscritta all’Albo degli Psicoterapeuti della Lombardia (n. 13131). Abilitata alla valutazione peritale come Consulente Tecnico di Parte (CTP) e Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) presso lo Studio RiPsi, è terapeuta EMDR.

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Silvia Maddalena Valota

Laureata in Psicologia Clinica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Specializzata presso la Scuola di Psicoterapia ad Orientamento Sistemico e Socio-Costruzionista di Milano – Centro Panta Rei, è iscritta all’Albo degli Psicoterapeuti della Lombardia (n. 13131). Abilitata alla valutazione peritale come Consulente Tecnico di Parte (CTP) e Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) presso lo Studio RiPsi, è terapeuta EMDR.

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