La malattia dei lavoratori: la sindrome del Burnout

Il termine “burnout”, in italiano “bruciato” o “esaurito”, è stato usato per la prima volta nel gergo sportivo nel 1930 per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di ottenere altri risultati o di mantenere quelli acquisiti. L’atleta veniva descritto come svuotato, incapace di rispondere alle sfide e alle competizioni che doveva affrontare.

Il concetto di burnout venne poi ripreso da Cristina Maslach, la quale utilizzò questo termine per definire una sindrome i cui sintomi testimoniano l’insorgere di una patologia comportamentale presente in tutte le professioni di aiuto. Questa sindrome si presenta quando il dispendio di energie richiesto dalla professione svolta non viene ricompensato da un adeguato riposo o ricompense.

Il burnout è un fenomeno complesso che merita di essere attentamente considerato, in quanto implica costi elevati per tutti i soggetti coinvolti: gli operatori pagano in termini di salute e qualità della vita, gli utenti trovano un servizio scadente e le amministrazioni devono fare il conto con assenteismo e disaffezione dal lavoro.

Secondo la Maslach, il burnout è una sindrome caratterizzata da tre sintomi o fattori principali: L’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e una ridotta autorealizzazione.

  • Esaurimento Emotivo: consiste nel sentimento di essere emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro. È dovuto alla percezione delle richieste come eccessive rispetto alle risorse disponibili, si ha l’impressione di non avere più nulla da offrire a livello psicologico.
  • Depersonalizzazione: rappresenta il fattore interpersonale del burnout. Si riferisce ad una risposta negativa, insensibile, ed eccessivamente distaccata a diversi aspetti del lavoro, soprattutto a quelli di relazione con l’altro. Si manifesta come un atteggiamento di allontanamento e di rifiuto, spesso in maniera sgarbata, nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale. È un tentativo di mettere distanza tra sé e i fruitori del servizio dei quali vengono ignorate le caratteristiche personali.
  • Ridotta autorealizzazione professionale: riguarda la percezione della propria inadeguatezza, e la sensazione di insuccesso della propria professione unita ad un calo di autostima. La motivazione cala drasticamente, cala l’autostima e possono emergere sintomi depressivi. In questa condizione l’operatore è possibile che si rivolga alla psicoterapia o chieda di essere trasferito o di cambiare lavoro.

Il burnout per molto tempo è stato confuso con lo stress. Lo stress può essere una condizione di innesco del burnout, ma non si identifica con esso. Non necessariamente quando c’è una situazione di stress è presente anche il burnout, ma non è vero il contrario: non può esserci burnout senza la presenza di fattori stressanti.

Laureato in Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia presso l’Università degli studi di Milano-Bicocca, è Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione e Professore a Contratto presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzato presso la Scuola di Psicoterapia ad orientamento Cognitivo-Costruttivista Relazionale – Centro di Terapia Cognitiva di Como, è iscritto all’Albo degli Psicoterapeuti della Lombardia (n. 15957).

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Valerio Salvarani

Laureato in Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia presso l’Università degli studi di Milano-Bicocca, è Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione e Professore a Contratto presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzato presso la Scuola di Psicoterapia ad orientamento Cognitivo-Costruttivista Relazionale – Centro di Terapia Cognitiva di Como, è iscritto all’Albo degli Psicoterapeuti della Lombardia (n. 15957).

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